Libertà e carcere – La nostra visita a Rebibbia n.c. – Reparto G8

liberta

Avere la possibilità di visitare dall'interno un istituto penitenziario come quello di Rebibbia non capita tutti i giorni. È proprio ciò che le classi 5H e 5C del Liceo Blaise Pascal di Pomezia, accompagnate dalle prof. sse Zadra e Perillo, hanno potuto sperimentare lo scorso 19 febbraio, a conclusione del percorso didattico di Libertà e carcere, iniziato in quarto superiore.

Il progetto ha offerto a noi studenti un'opportunità di crescita personale, sensibilizzandoci sui temi della giustizia e del reinserimento sociale ed aiutandoci a sviluppare competenze utili in ambito educativo e giuridico.

Prima della visita, svoltasi tra le 10 e le 12.30, abbiamo dovuto lasciare tutti i nostri effetti personali in un'aula apposita, dal momento che non era possibile portarli all'interno del carcere. In seguito, quando abbiamo sentito i cancelli della prigione chiudersi alle nostre spalle, abbiamo sperimentato in piccolo quell’alienazione che anche i carcerati vivono nel momento in cui abbandonano il mondo esterno.

Durante il percorso all’interno dell’istituto, abbiamo visitato i luoghi dove i ristretti trascorrono gran parte delle loro giornate, coltivando passioni magari mai emerse prima della carcerazione, ma che sono sbocciate proprio lì, nel tentativo di fare scorrere più velocemente un tempo che in cella sembra infinito. Ne sono alcuni esempi l’aula musica, la biblioteca, il laboratorio di falegnameria - dove dal legno delle imbarcazioni degli scafisti vengono ricavati rosari, casette di legno ed altri manufatti - e il call center. Qui abbiamo potuto assistere al lavoro quotidiano di detenuti che si reinventano rispondendo alle chiamate all’ospedale Bambin Gesù, dimostrando impegno sociale e responsabilità.

Uno dei momenti più significativi della visita è stato l’incontro con alcuni detenuti, mediato da un’ispettrice che ci ha invitato a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni in un'età così delicata, e soprattutto a sospendere il giudizio, lasciando spazio all’empatia e all'ascolto. Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Saro, Gabriele, Aldo e Don Paolo, che hanno raccontato con grande umanità come la prigione, per quanto dura, possa diventare un’opportunità di cambiamento per chi ha preso decisioni sbagliate. Le loro parole sono state un monito sulle scelte di vita e sulle cattive compagnie, che possono condurre a percorsi senza ritorno.

Per alcuni è stata una sorpresa incontrare un famoso giovane rapper che dovrà passare gli anni migliori della sua vita in cella, e che ci ha fatto capire che nella stessa situazione potrebbe finire chiunque.

I detenuti, oltre a descrivere come si svolge la loro vita quotidiana in carcere e la sottocultura che caratterizza il loro ambiente, hanno anche condiviso alcuni consigli per non commettere i loro stessi errori, parlandoci più come padri o fratelli che come “chi sta dietro le sbarre”. La frase di Saro “Aspettate 10 secondi prima di reagire, e chiedetevi chi vi resterebbe accanto in una situazione come la mia, perché la verità è che soltanto la vostra famiglia sarebbe disposta a farlo”, o il momento in cui Aldo ha letto una sua poesia dedicata ai genitori scomparsi, commuovendo l'intera platea, sono i momenti che personalmente mi sono rimasti più impressi.

Tuttavia, non tutti ci hanno accolto con apertura. C'è stato chi da dentro le celle si è rivolto a noi con diffidenza, con frasi come “Vi siete portati le noccioline da tirarci?”. In effetti, mentirei se dicessi che per la modalità in cui si è svolta la visita non mi sia sentita all'interno di museo, o addirittura di uno zoo. Questo ci ha fatto riflettere su come la nostra presenza, per quanto mossa dalle migliori intenzioni, potesse risultare scomoda o persino umiliante per chi è costretto a vivere dietro le sbarre.

Quando siamo usciti, ho provato un senso di sollievo, ma anche un’inquietudine che non mi aspettavo. Ho iniziato a ripensare alle mie azioni, alle scelte che ogni giorno compiamo senza renderci conto di quanto possano condizionare il nostro futuro. Nessuno dei ristretti che abbiamo incontrato avrebbe mai immaginato di finire in carcere, eppure è successo. Mi sono chiesta se anche io, magari per un errore di valutazione, per una reazione impulsiva o per la compagnia sbagliata, potrei un giorno trovarmi dall’altra parte di quelle sbarre. Questa visita mi ha lasciato molto più di un semplice ricordo: mi ha dato la consapevolezza che la libertà non è scontata e che basta poco per perderla.

Silvia Montanari, classe 5H Scientifico Internazionale